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Ora, a quell'armellino non venne neppure nel pensiero di suicidarsi col véggio al carbone delia crestaina, con la pistola del violento, con il tossico della disperazione, col pugnale della premeditazione fredda ed eroica.
Ella meditava di una morte che fosse, più che una festa, un'aureola; meglio che un inebbriamento, un poema! Si sarebbe annegata in una stella, se lo avesse potuto!
Ella vagheggiava dunque di già quella morte deliziosa - cui il dottore di Nubo, con una scaltrezza perfida, segnalava al duca come un assassinio che non lasciava traccia e che avrebbe potuto passare sotto l'insegna giuridica del suicidio.
Ella non tenne però alcun proposito di codesto a suo cugino.
Il duca non concepì neppur l'ombra di un sospetto sulle intenzioni di lei.
Vitaliana si uccideva mentre suo marito l'assassinava - e tutto ciò con un'inconseguenza, con una leggierezza, con una irriflessione, con una frivolezza, cui io mi travaglio forse invano di dipingere onde dare un'idea dei caratteri che i clericali formano con la loro educazione religiosa.
Il giorno seguente, anniversario del suo matrimonio, Vitaliana si alzò alle otto.
Ella aveva la febbre che scoppiettava dappertutto: nei suoi occhi, sulle sue guance, dalle sue labbra.
Entrò nella sua stufa, e tagliò tutte quelle ali che volavano verso di lei, sbocciando - tutta la luminosa famiglia dei liliaci: tuberose, iridi di Firenze, gigli, gionchiglie, ginestre, quegli onagri che olezzano solo la notte, mughetti, prugnoli, resede, tigli, gelsomini, vaniglie.
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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano 1876
pagine 440 |
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Nubo Vitaliana Firenze
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