Io aveva, - egli disse, - io aveva avuto l'onore di servire altre volte in qualità di segretario, parecchi cardinali che, per mia disgrazia, sono tutti morti. Il primo fu il cardinal Basadonna1 veneziano, il quale, morendo, mi lasciò una pensione vitalizia sufficiente per vivere senz'esser a carico d'alcuno. Morto il cardinal Gastaldi,2 l'ultimo che servii, il signor Pietro de' Gabrielli, col quale da lungo tempo avevo molta famigliarità, m'offrì la sua tavola e la sua casa, senz'altro obbligo che di tenergli compagnia. Mi promise anzi, che se fosse andato innanzi negli onori della Corte Romana, avrebbe fatto andare innanzi anche me.
Offerte così graziose mi fecero preferire questo partito ad altri che mi erano proposti da persone ragguardevoli. Passai circa due anni e mezzo nella casa del signor de' Gabrielli. Qualche volta ci venivano persone versate nelle scienze, e c'intrattenevamo in diverse materie di filosofia; ma il discorso non cadeva sulla religione che assai di rado, e in quei casi era sempre un certo abate, chiamato Antonio Oliva, che lo metteva in mezzo.
Accadde, per una disgrazia inopinata, che parecchi di noi furono accusati come eretici all'Inquisizione di Milano da Francesco Pichitelli che aveva il soprannome di Checco falegname, perché era figlio d'un legnaiuolo; uomo, del resto, di vita così malvagia che aveva meritato la forca per assassinio. La deposizione che egli fece a Milano ebbe tanta forza in Roma contro di noi che, l'uno dopo l'altro, di nove o dieci che ci eravamo trovati in una di quelle conversazioni di cui dissi, fummo tutti messi in prigione; ed ecco in particolare come fui arrestato io.
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