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      Mi domandarono quindi nome e cognome e, fatta aprire la porta di un gran cortile, ordinarono che mi conducessero in una delle camere piccole della prigione, che si chiamano Segrete perché non vi si comunica con nessuno. Passando per questo cortile, lungo una di quelle grandi e sinistre logge del Sant'Uffizio (strada che fanno tanti disgraziati!) la cupola della chiesa di San Pietro mi colpì subito l'occhio. Io ebbi cura di notare da che parte mi mettessero rispetto a quella cupola e m'accorsi che era appunto incontro alla facciata che è esposta all'oriente.
      Quando fui arrestato soffrivo orribili dolori di corpo e non avevo potuto trovar sollievo per quanti rimedi avessi presi; e allora appunto avevo cominciato a prendere un decotto di certe piante da cui speravo meglio. Non mi permisero di continuare la cura in prigione, ma, per grazia di Dio, appena cessai di usare medicine e medici, fui subito guarito.
      Non sapendo come occuparmi in quella triste solitudine, mi diedi a mettere in musica i vespri della Madonna ed a comporre certe ariette per fuggire il tormento dell'ozio. Per questo mi servivo del tavolino sul quale scrivevo, poiché avevano rifiutato di farmi portar da casa una spinetta. Così, su quel tavolino, movevo le dita come sopra una tastiera, fingendo coll'imaginazione i toni delle corde, come se li sentissi. In questo modo per dugento cinquanta giorni tentai di vincere la noia; ma vedendo che le cose andavano in lungo per le formalità degl'interrogatorii e che non me la sarei cavata così presto, come avevo sperato, pensai dentro di me il modo di poter lavorare alla fuga quando fossi disperato.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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