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      Non avevo né coltello, né forbici, né il più piccolo stromento di ferro, senza i quali alla fuga non si poteva pensare; ma un giorno, per caso, parlando coi carcerieri, uno di costoro tirò fuori una tabacchiera lavorata di paglia. Allora mi disse che altri prigionieri, tenuti meno stretti di me, si occupavano in certi piccoli lavori di paglia tinti di più colori, come cofanetti, scatole, tabacchiere, astucci da forbici ed altri; a fiamma, a modo di punto di Francia e d'Ungheria. Mi venne subito in mente che, se potessi ottenere il permesso dai padri superiori del Sant'Uffizio di lavorare a simili cose (nelle quali da bimbo avevo visto lavorare un buon cappuccino che ci aveva molta abilità, tanto ch'io pensava di ricordarmene abbastanza per riuscir bene), quello sarebbe il modo di avere alcuni piccoli stromenti come forbici, temperini, aghi, filo, colla od almeno pasta per cucire ed incollare i cartoni che sono il fusto di quelle galanterie. La difficoltà stava nell'ottenere la grazia e pensai che non me l'accorderebbero se non trovavo qualche nuova invenzione che raccomandasse meglio il mio lavoro. A questo misi tutto il mio studio e credetti di aver scoperto in quel genere di lavori quel che nessuno prima aveva pensato. Infatti cogli spilli del mio collare ed un pezzettino di lapis, lungo come l'ugna, che trovai in fondo ad una tasca, cominciai a disegnare sopra un foglio di carta quel che mi stava nell'imaginazione. In un mese venni a capo del mio progetto e diedi al mio lavoro il nome di punto indiano per distinguerlo dagli altri.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
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