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      Ma egli ricusò tenacemente, volendo raccontarmi soltanto la sua evasione. E continuò a questo modo.
      Mia sola consolazione era la speranza di fuggire. Vedevo che gli ostacoli erano quasi insormontabili, ma ciò non mi sfiduciava; e benché sapessi che non c'era esempio di persona che fosse riuscita in simile intrapresa, non perdevo però il coraggio e alleviavo le mie pene pensando notte e giorno ai mezzi di riuscire.
      Finalmente, dopo aver aspettato sei mesi, ebbi il permesso di lavorare di paglia e, per poterla tagliare, mi resero le forbicine trovatemi in tasca quando m'arrestarono e che poi servirono a tagliare i miei lacci e ad aprirmi la prigione.
      Qui il signor Pignata si levò di tasca quelle forbicine e me le mostrò. Sono tanto piccole che mi meraviglio come uno strumento così debole abbia potuto preparare e condurre a fine una intrapresa così difficile e pericolosa.
      Queste sono, - egli mi diceva, - le chiavi della mia libertà, e le conserverò per tutta la vita come un tesoro.
      Quindi riprese la sua storia in questo modo.
      Cercai di dare ai miei primi lavori di paglia un certo aspetto che colpisse lo sguardo senza che l'invenzione si fosse potuta indovinare. Appena se ne videro, piacquero assai, non solo per la loro novità ma perché infatti erano più belli di quelli degli altri prigionieri. Feci uno scrignetto di cartone a modo d'urna che s'apriva davanti e di sopra e che conteneva uno specchio, un calamaio e tutto quel che ci vuole per acconciare una donna. Era lavorato di paglia fuori e dentro, con figurine a disegno punteggiato di penna, messe qua e là con certa simmetria che dava piacevole aspetto al lavoro.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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