Alfonsi ed io raddoppiammo però i voti e le preghiere domandando a Dio che, se l'impresa non era contraria alla salute delle anime nostre, Egli volesse illuminarci, mostrandoci la via più facile e sicura alla fuga, non avendo noi abbastanza lumi per condurre a buon fine un'opera così difficile e pericolosa.
Il quindici d'agosto, giorno dell'Assunta, ci confessammo e comunicammo, e dal fondo del cuore pregammo ardentemente Iddio che ci illuminasse e ci guidasse in tale frangente. Qui bisogna adorare, qui bisogna benedire la grandezza della Sua misericordia e l'assistenza Sua divina; poiché la sera stessa, avendo noi ripetuto la medesima preghiera, ci coricammo ed io continuai a pregare nel mio letto, raccomandandomi con fervore allo Spirito Santo perché m'inspirasse in una occasione così importante. Ero perfettamente calmo, quando mi venne un pensiero, come se uno mi dicesse: «Perché pensi tu di rompere un muro così grosso e non piuttosto il catino della volta?».
Riflettei su questo avviso come se mi fosse venuto dal cielo e capii che infatti, forando la volta della nostra camera oscura, potremmo salire nella camera di sopra, le cui finestre senza inferriate rispondevano sulla strada. Allora, tutto pieno di gioia saltai giù dal letto e corsi a svegliare l'amico mio che dormiva di buona voglia. Gli dissi:
- Che mi daresti tu, Filippo, se entro due ore ti liberassi dal Sant'Uffizio?
- Sei matto! - mi rispose egli, ancora insonnolito. - Lasciami dormire e non mi seccare co' tuoi sogni.
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