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      Disposte le cose a questo modo, perché la calce e i mattoni non facessero rumore cadendo, andammo d'accordo di mettere le nostre materasse e le coperte sopra le tavole e tutto intorno; precauzione necessaria che non dimenticammo in seguito. Ma poiché il padre Commissario dormiva sopra le nostre camere, dove aveva l'appartamento, bisognò aspettare che tornasse il freddo che lo costringeva a sgombrare di là e a tornare al suo appartamento d'inverno, come faceva tutti gli anni. Questo doleva alla nostra impazienza. Bisognava, di più, che si riaprissero le porte della città ed i passi verso il regno di Napoli chiusi pel sospetto della peste; il che fortunatamente avvenne presto, avendo Iddio fatto cessare le apparenze e le paure del contagio.
      Cominciammo a radunare tutto quel che credevamo dovesse esserci più necessario per giungere a fuggire e per ben nascondere il progetto. Avendone ragionato assai, avevamo combinato che io mi sarei vestito da romito e che avrei dato al mio compagno metà delle mie spoglie, cioè la parrucca e il vestito. Era già qualche tempo che avevo nascosto nel pagliericcio del mio letto una coperta bianca per servirmene all'occasione. Feci una lanterna di cartone che lasciai bianca fuori, ma annerii dentro coll'inchiostro e dentro vi misi una conchiglietta, di quelle che mi servivano pei colori, dell'olio ed un piccolo stoppino fatto col cotone della mia veste da camera. L'accendevo per vedere lume la notte senza che i carcerieri se ne avvedessero, poiché tutte le sere venivano a spegner le candele.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





Commissario Napoli Iddio