Pagina (40/170)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Se tu non fossi più grosso e pesante di me, cercherei di portarti sulle spalle in qualche luogo; ma conci come siamo, non si può pensare che ad uscire di città, se c'è modo. Questa disgrazia improvvisa mi addolora e mi dispera. Se tu vuoi che rimanga teco per non abbandonarti, questa pietà sarà inutile a te, ed a me funesta. Non otterrai altro che di vedermi seppellire in una cella oscura di questo inferno con un peso di dugento libbre al piede e cento bastonate al giorno, senza nessuna speranza mai di libertà; e quel ch'è peggio, ci separeranno in modo che non sentiremo mai più parlare l'uno dell'altro!...
      Così parlando, indossavo il mio abito da romito. Alfonsi, vedendo che infatti non potevo essergli di alcun soccorso, mi raccomandò di pregare Iddio per lui. Lo pregai di fare altrettanto per me ed abbracciatici e baciatici colle lagrime agli occhi ci separammo con una pena ed un'angoscia ineffabile.
      Non ero ancor giunto alla porta della città, che chiamano dei Cavalleggeri, vicinissimo al palazzo del Sant'Uffizio quando Alfonsi, o per la violenza del dolore o per altri motivi dei quali sarei ben addolorato di avere il sospetto (c'è da credere però che non fossero né la prudenza né la carità) cominciò a mettere strida acutissime ed a gridare «Aiuto! aiuto!» e gridava così forte che lo sentì anche il portinaio, il quale nell'aprirmi la porta mi chiese chi mai poteva lamentarsi tanto forte. Risposi che non sapevo nulla.
      Tuttavia egli continuava sempre a gridare e con una voce così forte che lo sentivo sin da fuori le mura di Roma.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





Iddio Cavalleggeri Sant'Uffizio Alfonsi Roma