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      Passai senza rumore davanti ai birri addormentati camminando sulla punta dei piedi e seguitai la mia strada.
      Passato il ponte vicino a Prima Porta, mi tenni a destra, lasciando Prima Porta a sinistra, per paura che ci fossero altri birri, e ce n'erano di sicuro per prendermi. Seguitando a camminare lungo le sponde del Tevere, sentii che il freddo della pioggia e tanti altri incomodi sofferti mi avevano così spossato e così irrigidito i nervi delle gambe che non mi reggevo più. Cercai tuttavia di trascinarmi, tanto che due ore prima di giorno arrivai ad una capanna di pastori del principe don Angelo Altieri. Mi feci aprire dicendo che volevo far colazione, e lo feci perché capissero che c'era qualche soldo da guadagnare, altrimenti non m'avrebbero aperto. Entrato che fui, chiesi al pastore se aveva nulla da darmi. Mi rispose che aveva solo le interiora d'un agnello. Gli dissi di friggerle perché accendesse il fuoco, di cui avevo più bisogno che del cibo. Mentre mi preparava da mangiare, mi spogliai per asciugare i miei cenci, gonfi d'acqua come una spugna. Mangiai avidamente, come si può credere, tutto quel che mi dette, con due pani ed una bottiglia di vino. Mentre non badavo che a saziare la fame, non feci attenzione alle scarpe che avevo messo vicino al fuoco perché si asciugassero e che il pastore avea scioccamente accostato alla fiamma tanto che una ebbe la punta bruciata, e sarebbe bruciata anche l'altra se non l'avessi tirata indietro subito. In questa nuova disgrazia ebbi la pazienza di Giobbe, poiché non dissi parola, ma con un coltello tagliai via la parte bruciata e tornai a calzarmi come potevo.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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