Confesso che non avevo più né forza né coraggio. Ero abbattuto affatto e non sapevo più che mi fare e che mi pensare. Ero bagnato fino alla cintura ed il lungo digiuno mi aveva estenuato. La trepidazione, la stanchezza, le lunghe veglie mi avevano prostrato. I muscoli delle gambe, per esser stato tanto tempo nell'umidità, mi dolevano orribilmente e quel ch'è peggio mi sentivo vacillare la ragione per lo spavento d'essere arrestato, come credevo inevitabile. A tutti questi mali si aggiunse una pioggerella penetrante che finì di bagnarmi sino alle ossa, in modo che non avevo più un capello asciutto e la miserabile pelliccia di capra che avevo addosso, inzuppata come una spugna, mi si appiccicava alle carni e m'impediva i movimenti.
I latrati dei cani durarono quattr'ore intere, durante le quali stetti nella più angosciosa perplessità. Finalmente cessarono di abbaiare e di cercarmi e si rintanarono nella casa di dove li avevano sguinzagliati. Quando non udimmo più nulla ci mettemmo a salire lentamente la collina sulla cui vetta è un luogo che si chiama la Scarpa. Camminammo circa un'ora e mezza lungo una costa piantata d'ulivi, dalla quale non uscimmo che sul fare del giorno. Entrammo allora nella via battuta.
Non avevamo fatto cinquanta passi che incontrammo una nuova spia, come m'accorsi subito dalle interrogazioni che ci fece. Cominciò a gridare:
- Buon giorno! Buon giorno! Dove andate?
- Alla Scarpa - rispondemmo.
- Forse per comprare del pane?
- Appunto.
- Siete voi guardiani di porci?
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Scarpa Scarpa
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