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- Amico mio - gli dissi - benché abbiamo le barbe lunghe, non siamo né stregoni né maghi, bensì forastieri che cerchiamo d'entrare nel regno di Napoli il più presto possibile.
- Lasciate fare a me - rispose egli. - Io v'indicherò la strada e non vi succederà nulla.
Riofreddo è un piccolo castello posto sopra un bel monte le cui coste sono coperte di olivi e di castagneti. Giungemmo presso alle mura ed il giovane, lasciando andare gli asini per la via solita, voltò a destra e ci condusse sino alla strada larga per un sentierino che scendeva dal monte. Là, c'indicò la strada che dovevamo prendere, avvertendoci che avremmo trovato un fosso, passato il quale saremmo al sicuro, essendo questo il confine tra lo Stato Pontificio e il regno di Napoli. Io avevo sperato che ci avrebbero accompagnato sino al confine ma se ne scusò dicendo che aveva un padrone e che non poteva disporre di sé.
Gli offersi un testone perché ci aveva accompagnato fin là, ma egli lo rifiutò generosamente, dicendo che si meravigliava che gli offrissi danaro poiché non m'aveva reso alcun servigio, e che non voleva nulla. Io gli dissi di prenderlo per bere alla mia salute, ma egli resistette ancora.
- Prendete - continuai - e se rifiutate dirò che non siete mio amico.
- Dovete essere - disse guardandomi fisso - dovete essere galantuomini. Via, venite meco e vi condurrò ai confini. Gli asini e le ghiande vadano alla malora. Vi avverto però che se incontriamo i birri, lasciate parlar me, e voi tacete, o al più, dite d'esser porcai venuti a comprar maiali.
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