Giunto dall'altra parte del fosso, mi gettai ginocchioni per rendere grazie a Dio dell'avermi fatto metter piede in questa Canaan che avevo tanto sospirato. Baciai e ribaciai cento volte la terra cogli occhi molli di lacrime e il cuore intenerito; e Francesco, vedendomi, non poté a meno di fare altrettanto. Quindi recitai il Te Deum e ci mettemmo in via.
Eravamo molto assetati, ma per una fortunata combinazione scorgemmo, lungo la siepe che circondava una vigna, un bel grappolo d'uva che i vendemmiatori non avevano certamente veduto. Francesco andò a coglierlo e ce lo spartimmo come fratelli.
Un quarto d'ora dopo giungemmo all'osteria che Scipione ci aveva indicato e sull'uscio trovammo quattro birri col caporale. Li salutammo entrando e ci avvicinammo al fuoco per asciugarci poiché eravamo tutti bagnati.
Uno di quei birri, più impertinente degli altri, venne ad interrogarmi chiedendo chi ero, di dove venivo e dove andavo. Risposi:
- Sono suddito del signor Conestabile, vengo da Marino e vado a Tagliacozzo.
- A che fare?
- Debbo parlare al vice conte.
- Dove hai la lettera?
- Io non ho lettere.
- Che! Sei tu dunque capace di fare un'ambasciata a bocca?
- A te, che importa?
- Se volessi saperlo, ti toccherebbe di dirlo.
- Tu devi fare il tuo dovere se hai qualche potere su di me: ma se non ne hai alcuno, non puoi obbligarmi a dire quel che debbo fare.
Allora il caporale si alzò e disse:
- Non bisogna parlare così alto con noi. Siamo messi al confine per sapere chi entra e chi esce.
- È vero - risposi - e lo so.
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