- Camerata, tu hai voglia di ciarlare ed io di dormire. Ti do la buona sera. Lasciami riposare, te ne prego.
Ci levammo col giorno. Pagammo l'oste, prendemmo un po' di pane e di formaggio, riempimmo di vino il nostro fiasco e c'incamminammo per la via di Tagliacozzo. Io vedeva bene che Francesco aveva una gran voglia di tornare addietro, ma lo pregai di accompagnarmi anche per quel giorno fino ad Avezzano (bella cittaduccia del Conestabile Colonna) dove, come gli dissi, poteva lasciarmi. Rispose che mi servirebbe quanto mi fosse piaciuto perché il suo padrone gli aveva comandato di fare quel che io volessi.
Vedemmo allora un contadino che ci seguiva con cinque asini scarichi e che aveva passato la notte nell'osteria con noi. Gli chiesi dove andasse e mi rispose, a Tagliacozzo. Gli dissi allora che c'era qualche cosa da guadagnare per lui se mi lasciava montare sopra un asino fino al paese. In principio rifiutò, ma avendogli offerto un paolo del papa, moneta rara e molto stimata in quei luoghi, mi disse di salire, il che feci di gran cuore, tanto per la stanchezza, quanto perché avevo i piedi scorticati. È vero che il basto mi ammaccava le ginocchia, ma soffrivo meno a quel modo che a camminare.
A mezzodì ci fermammo per lasciare riposare gli asini. Mangiammo una parte della nostre provvigioni che dividemmo col contadino, e rimessici in viaggio, giungemmo in due ore a Tagliacozzo. L'asinaio m'aveva detto che non ci si sarebbe fermato, ma avrebbe tirato avanti sino ad Avezzano. Siccome anch'io volevo andarci, gli chiesi se si poteva arrivarci di giorno e mi rispose che sì; anzi facilmente.
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