Allora lo pregai di condurmici, offrendogli un mezzo paolo del papa. Egli accettò, col patto che scenderei prima d'Avezzano, perché il suo padrone, incontrandolo, non lo maltrattasse per aver caricato gli asini e tenuti i denari.
Cammin facendo mi disse che ad Avezzano c'era una buona locanda e che il paese era abbondantissimo di tutto. E non poteva esser diversamente perché Avezzano è posto in una larga pianura piena d'alberi fruttiferi che sembrano larghi viali fin dove giunge l'occhio. È circondato di vigne e di giardini e, da una parte, le sue mura sono bagnate da un bello ed ampio lago detto di Fucino, sulle rive del quale parecchi villaggi e castelli offrono una piacevolissima vista.
Appena arrivati, il contadino andò dal padrone e noi alla locanda. Ci mettemmo presso al fuoco col Podestà del paese ed i suoi. Dissi all'oste che mi facesse cenare a parte, e mentre mi preparavano un piatto di castrato coi cavoli ed alcune braciole, mi feci dare carta ed inchiostro per scrivere all'amico mio che finalmente, dopo tante fortune e pericoli ero giunto sano e salvo ad Avezzano. Feci anche scaldare un po' di vino con la salvia e rose secche per lavarmi i piedi scorticati. A questo punto due staffieri del Conestabile Colonna entrarono nella locanda. Io ne conoscevo uno, ma egli non mi riconobbe così travestito e sfigurato e con tanto di barba; tanto più che io aveva cura di volgere altrove la faccia per evitare gli sguardi. Dopo aver cenato ed essermi fatto lavar bene i piedi, dissi a Francesco di farmi dare un piatto con sale ed olio, che sbattei e feci scaldare.
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