Pregai il cugino a non nascondergli le mie avventure per dargli il piacere di sapermi libero ed a chiedergli una parrucca per travestirmi. Andò28 e me ne portò una, con una lunga lettera di mio nipote nella quale m'informava esattamente di quanto era stato detto o fatto contro di me in Roma, di dove era tornato da poco tempo ed ove conservava ottimi corrispondenti. Mi diceva che si sperava di guarire Alfonsi della gamba rotta, ma che sua moglie era morta dal dolore sapendolo ripreso così conciato, e finiva colla mia fuga.
La mia parente mi fece fare un buon vestito, mi diede della biancheria e volle che mi facessi radere la barba che avevo lunga quattro dita. Tenni però due lunghi baffi che mi davano l'aria da turco ed il marito della mia parente mi consigliò d'imbarcarmi per Venezia, dove mio fratello l'ecclesiastico doveva passare il carnovale e potrei quindi trovare presso di lui asilo e soccorso. Aggiunse che doveva mandargli una cassa piena d'acque odorose e d'essenze, con sei prosciutti ed alcuni frutti per la prossima quaresima e che io potevo portarli. Gli dissi che ero del suo parere e che abbandonavo a lui la cura della mia persona.
Fu riempita la cassa e l'indirizzo lo scrissi io, colla lettera d'avviso, perché mio fratello, riconoscendo la mia scrittura, potesse così capire che ero al sicuro; ma si ebbe la precauzione di non dirgli nulla di me e de' miei affari. In un porto vicino29 fu preso per me un posto in una barca la quale doveva partire per Venezia entro una ventina di giorni.
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