Passato questo tempo, mia cugina mi diede un involto di panni e di biancheria di cui potevo aver bisogno, più 12 pistole, scusandosi di non potermi dar altro e pregandomi ad accettarle come un segno di buon volere. Io feci i ringraziamenti dovuti a tanti attestati d'amicizia e mi congedai da lei, dal marito e dalla figlia con lacrime dirotte. Mio cugino venne a condurmi sino al porto e là mi fece parlare col fratello del padrone della barca, nella quale fu messa la cassa destinata a mio fratello. Per non destare sospetti, mio cugino tornò subito indietro ed io rimasi in casa del padrone della barca, cui chiedevo spesso quando si partirebbe, poiché avevo creduto che si facesse vela appena ero giunto io. Mi rispondeva sempre che partirebbe quando il vento fosse propizio.
Dormii quella notte in casa sua facendo mille riflessioni, e pensai che se fossi costretto a fermarmi otto o dieci giorni, sarei stato sempre in timore ed in pericolo d'essere scoperto. Così presi la risoluzione di cambiar strada e progetto, e di farlo così secretamente che i miei parenti stessi non potessero sapere il luogo dove andrei; non perché dubitassi della fedeltà loro, ma perché qualche volta possono sfuggire, specialmente alle donne, alcune parole imprudenti, capaci di nuocere.
Il giorno dopo, di buon mattino, uscii dunque dalla casa del padrone della barca sotto pretesto di andare alla messa e m'incamminai lungo il mare. Giunto nell'Abruzzo che dicono Citeriore, risolsi di passare in Sicilia per vedere se potevo trovare a Messina un asilo sicuro e qualche mezzo di sussistenza o colla musica o servendo qualche persona di qualità, col falso nome di Filippo De' Vecchi.
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