Attraversai dunque il regno di Napoli ed entrai nell'Abruzzo Ulteriore. Passai per la città d'Ariano, indi per Conza, e in sei o sette giorni, ora a piedi ora su qualche asino incontrato, giunsi a Policastro, dove per tre carlini napoletani presi una barca che mi tragittò a Messina.
Ci vidi il più bel porto del mondo; ma tutti i palazzi che ne sono l'ornamento principale non si reggevano che a forza di puntelli e di travi, per cagione di un orribile terremoto che aveva desolato tutta l'isola. Alcuni erano spaccati ed altri rovinati affatto, in modo che non si poteva guardare a quel flagello senza raccapriccio.
Un giorno che passeggiavo sul porto vidi da lontano due musici romani, di quelli che sono fatti dal barbiere, i quali mi venivano incontro. Io li conoscevo benissimo, per cui, quando furono vicini, dovetti voltar la testa dall'altra parte perché non mi conoscessero, e mi avrebbero ravvisato senza dubbio poiché a Roma venivano in casa mia quasi tutti i giorni. Questo incontro mi fece abbandonare il progetto di rimanere un pezzo a Messina dove non avrei potuto stare quindici giorni senza esser da loro riconosciuto. Sapendo che i musici e specialmente i castrati aprono facilmente la bocca e cantano spesso quando dovrebbero star zitti, mi sarei esposto al rischio d'esser scoperto. Così per non dipendere da quelle lingue indiscrete, risolsi di partire da Messina e partii cinque giorni dopo all'arrivo, rimbarcandomi per Policastro, dove approdai felicemente.
Dopo aver ben riflettuto ai casi miei, pensai che in tutta l'Italia e negli stati vicini non c'era sicurezza per me.
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