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      Il padrone della nostra nave fece il suo regaluccio e Sua Maestà, dopo averlo accettato, c'invitò a pranzo, dopo la messa. Intanto suonarono le campane e il re, coronato di mirto e adorno di nastri di carta rossa in testa, fece un segno al suo capitano delle guardie il quale disse ad alta voce due o tre parole in schiavone, dopo di che i soldati, in numero di 60, s'incamminarono a due a due. Gli strumenti da guerra che li precedevano, erano due tamburelli, simili a quelli che i contadini italiani usano per accompagnare le innamorate. Subito dopo ai tamburelli veniva il capitano alla testa di 60 soldati. In mezzo a loro era portata un'insegna spiegata, alta forse otto piedi, di seta rossa incrociata di seta bianca dall'alto al basso ed a traverso, con un ramo d'alloro in cima e due arance, infilzate sotto, nel ferro della lancia, come ornamento. Dopo costoro s'avanzava pomposamente il re, accompagnato dai parenti, dai forastieri e dalla folla del popolo.
      Detta la messa e terminate tutte le cerimonie schiavone, ritornammo nell'ordine stesso e fummo alla capanna reale. C'erano due tavole lunghe e strette, senza tovaglie. Intorno erano certi piattelli di terra in numero di 70 od 80. Solo in capo alla tavola era una specie di tovaglia sparsa di mirto. Era il posto del re e dei preti, essendo giunti i quali ci mettemmo a tavola. Il re volle avere al suo fianco il padrone della nave e me, di che fummo tanto onorati che dovemmo restituire il complimento pagando una bottiglia d'acquavite.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





Sua Maestà