Il pranzo fu assai magro perché la cattiva stagione aveva impedito la pesca. Tuttavia s'era cercato di ripiegare con diverse minestre di legumi, d'orzo, di riso alla turca, con rape, radici e qualche piatto di carne. Ci servirono anche molti piccoli pesci, gli uni cucinati alla marinara e gli altri marinati. Insomma il povero re si fece onore quanto permise la cattiva stagione.
Finito il pranzo, andò col curato, gli altri preti, i soldati e tutto il corteggio, sulla piazza del mercato, in mezzo alla quale avevano piantato un grande albero, intorno cui s'era adunato tutto il popolo. I due tamburelli ed un piffero cominciarono a suonare ed il re, prendendo una giovane per mano, ballò con lei. Allora tutto il popolo si mise a cantare, e ognuno cantava la canzone che voleva; tanto che essendo tutte diverse, facevano una diabolica armonia. Ognuno prendeva chi voleva per ballare, senza badare se fosse un uomo od una donna, e facevano salti, smorfie e gesti stravaganti facendo un gran cerchio e saltellando a piedi giunti come per trebbiare il grano. Lo spettacolo era assai ridicolo.
Il re finì il ballo ed ordinò a me ed al padrone della nave di pagare una bottiglia d'acquavite per ciascuno, da regalare alle signore; il che facemmo volentieri. Ma incomodati dal freddo ed anche più dalla compagnia dei ballerini che cominciavano a risentirsi dei fumi dell'acquavite, pensammo bene di ritirarci senza complimenti e di nascosto.
Accendemmo un buon fuoco nella nostra barca e dopo esserci ben riscaldati, cercammo di riposare, ma fu per poco, poiché, subito dopo alla mezzanotte alcuni pescatori vennero a svegliarci e ad offrirci la loro pesca di gavoni.
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