Dopo la messa cercammo l'osteria. Un vecchio che parlava benissimo l'italiano chiese al padrone della nostra nave che lo conducesse a Venezia senza pagare, in compenso di che terrebbe il timone, assicurando d'esser molto pratico e di aver fatto più di trenta volte il tragitto da Selve a Venezia e di conoscerlo benissimo. Il padrone lo prese volentieri in parola, e, cambiato il vento, il giorno dopo facemmo vela.
Passammo felicemente il Quarnero, che è il punto più pericoloso dell'Adriatico e il terzo giorno giungemmo presso Malamocco dove bisognò affondar l'àncora e passar la notte, per paura dei banchi di sabbia e di naufragio in porto. Dopo mezza notte si levò una burrasca furiosa. Il vento era accompagnato da lampi e da tuoni e le onde passavano dalla prora alla poppa coprendo ad ogni istante la nave, in modo che ci pareva d'essere in mare. Fu per noi una grande fortuna che il vecchio di Selve fosse al timone, ed avvertisse i marinai di quel che dovevano fare, altrimenti eravamo perduti. Lo vedevamo, intrepido alle minacce del mare ed al furore dei venti, resistere freddamente al suo timone sotto l'assalto delle onde e piegare prudentemente per evitarne il colpo. Tutti i marinai affaticati dal lavoro, sbalorditi dal pericolo, perdevano coraggio, ma il vecchio era sempre fermo come uno scoglio ed incoraggiava tutti. Finalmente fece così bene il suo dovere che, dopo aver perduto un'àncora, rotto una gomena e il palischermo a mare, entrammo in porto. Allora riprendemmo tutti vigore e la paura della morte scomparve dai nostri volti.
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