Così vestito, mio fratello mi presentò alle signore di casa e specialmente alla signora de' Schietti, padrona del palazzo. Esse presero molta cura de' fatti miei, sebbene non mi conoscessero, per riguardo a mio fratello il quale, alloggiato e nutrito in casa loro, aveva agio di parlare di quel che m'era accaduto. Io ammirava la gentilezza di quelle signore e specialmente quella di donna Laura, che mi ricevette come un figlio, onorandomi della sua tavola e conducendomi in giro nella sua gondola perché vedessi le rarità di Venezia. Non s'andava mai all'Opera, alla Commedia, al Ridotto o al palazzo ducale, senza che Gaspare Fedele, mascherato o no, fosse della comitiva. Sarei ingrato se non facessi pubblici i favori infiniti ricevuti da quella illustre casa, alla quale avrò un obbligo eterno. I figli imitavano la madre e non saprei troppo lodarmi di tutte le garbatezze che mi fecero senza mio merito.
Mio fratello mi condusse anche dal conte De la Tour, ambasciatore dell'imperatore a Venezia. Non posso dire con che bontà e con quali segni di affetto, mi ricevette questo saggio ministro. Mi offrì alloggio presso di lui, tavola, gondola, e mi promise che, se sapesse qualche cosa che fosse a mio danno mi avvertirebbe o anche mi manderebbe a Gradisca, negli stati imperiali, dove aveva parenti. Volle che gli narrassi la mia storia, e quando ebbi finito, si volse a mio fratello, dicendo:
- Ebbene, signor abate, non le ho io sempre detto che chi ebbe la fortuna e la sveltezza di levarsi dalle unghie dell'Inquisizione di Roma, avrebbe avuto anche la furberia e la fortuna di sfuggire ai birri ed alle spie?
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