Non vorrei che venisse qualche ordine dell'Imperatore, cui non potrei negare obbedienza e dovrei allora consegnarvi. Fissate il giorno della partenza ed io farò stare una carrozza pronta alle porte della città. Finite le prime perquisizioni, vedremo quel che convenga fare perché possiate andar in libertà da per tutto.
Consultato mio fratello, giudicammo che il miglior modo per uscire di città senza esser conosciuto era d'andare in compagnia di otto o dieci studenti vestito come loro e fingendo di disputare in latino sopra qualche quistione, come accade spesso nelle loro passeggiate. Voi sapete, certo, che a Gratz c'è un buon collegio ed una Università dove molti giovani tedeschi ed italiani vanno a studiare: così mio fratello non ebbe difficoltà di trovarne che m'accompagnassero all'uscita, tanto più che questi signori hanno spesso gli spiriti bollenti e sono pronti ad intraprendere quello che loro sia proposto.
Gli scelti erano tutti italiani, amici di mio fratello, e quegli che ci aveva già avvertiti, era a capo della comitiva. Mi vestii come loro ed un bel mattino, sulle dieci, uscimmo da Gratz, ciascuno con due pistole sotto il mantello, ed alcuni anche col pugnale, come si porta in Italia. Ma nessuno ci disse parola.
Giunti al luogo dove m'attendeva la carrozza, mi congedai da quei signori e andai ad Eckemberg. Presentai al portinaio la lettera del principe. Mi accolse bene e mi mostrò due belle camere già preparate, poiché era stato avvertito. Quel che mi toglieva il piacere di questo buon ricevimento era che non ci capivamo, poiché io non sapevo una parola di tedesco né il portinaio una d'italiano.
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