L'intendente, vedendo arrivare dei forastieri, era sceso, ed io, indovinando chi era dall'aspetto, gli diedi la lettera del generale. La lesse e dopo molti complimenti mi condusse nel suo appartamento intanto che accomodavano il mio. Nel nostro discorso furono più i gesti che le parole perché c'intendevamo come col portinaio di Eckemberg.
Quando fu ora di cena, ci mettemmo a tavola dove eravamo in quattro e tra questi, per mia fortuna, era un giovane copista che teneva i conti di Sua Eccellenza e sapeva un po' di latino. Fui ben contento di potermi servire di lui per farmi capire dall'intendente.
Chiesi un poco di carta per lavorare il giorno dopo ai miei disegni e mi dissero che al mattino tutto sarebbe pronto ed infatti, sul far del giorno ebbi quanto occorreva; per cui cominciai a tracciare sulla carta il piano d'una casa di cui feci l'elevazione e lo spaccato. Il buon intendente guardava con molta attenzione il mio lavoro e ad ogni segno che facevo, dava in atti di meraviglia senza dir mai una parola. Quando credeva che fossi stanco di lavorare, mi chiedeva a segni se volessi giuocare per divertirmi, e mi mostrava le carte dicendo:
- Pichet! Pichet!36
Gli feci capire che avrei giuocato volentieri, in modo che, finito il mio disegno, gli altri giorni non facemmo altro che giuocare.
Ma una maligna disposizione di umori, insieme col sangue guasto da tanti casi e dal cambiamento d'aria e di vitto, fecero che il mio corpo si coprì di scabbia, tanto ch'io parevo un Lazzaro pieno d'ulceri.
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Eckemberg Sua Eccellenza Lazzaro
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