Partirono tutti per Gorizia il giorno dopo ed io rimasi col conte Filippo, il quale, appassionato per la caccia, andava fuori tutti i giorni. Io però, meno appassionato di lui, restavo in casa a leggere ed a scrivere. Fu là che finii l'opera cominciata a Venezia per la dama di cui tenni discorso.
Dopo alcuni giorni ebbi lettere da mio fratello, il quale mi diceva d'aver dato venti ducati d'oro al generale De Rabatta a Gratz, perché mi fossero passati dai fratelli suoi per servirmene come crederei a proposito per mettermi al sicuro. Mostrai la lettera al conte Filippo, il quale mi diede il denaro e mi segnò la via che dovevo tenere fino ad Augsburg, avendo egli fatto quel viaggio altre volte. Mi diede un paio di pistole da tasca con polvere e palle, e mi trovò una guida ed una carrozza. Partii così compreso delle gentilezze di questa illustre casa che debbo mettere i conti Rabatta tra i più generosi ch'io abbia trovato nelle mie disgrazie.
Viaggiai con molto piacere finché ebbi la compagnia della guida che parlava italiano, ma quando ebbi passato Tolmin e fui sulla grande strada di Germania, provai tutti gli incomodi che soffrono coloro i quali, viaggiando in un paese, non ne conoscono la lingua. Parlavo senza farmi capire; mi parlavano e non capivo. Questa ignoranza mia mi disperava e riflettevo che se a Roma, invece d'imparare tante cose inutili avessi imparato le lingue straniere, non mi sarei trovato in simili imbarazzi.
La guida che parlava italiano e mi forniva i cavalli, doveva condurmi sino a Villach, secondo l'accordo.
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