Arrivato ad Augsburg cominciai a fare i miei conti e trovai il mio borsello dimagrito molto nel correre le Poste. Vidi che mi rimaneva appena da vivere quattro o cinque settimane e che anzi, se rimanevo alla locanda, avrei tirato avanti solo quindici giorni. Questo mi costrinse a chieder di un mercante italiano, il quale stava poco lontano, per domandargli se ci fosse qualcuno che mi volesse prender in casa purché potessi trovare chi parlasse italiano. Mi rispose che c'era un tal Pamaqueli, maestro di lingue, in casa del quale starei molto bene, se mi volesse, e promise di parlargliene.
Infatti mi rese un vero servizio, poiché ci accordammo subito per due fiorini alla settimana, col patto che se volessi imparare il tedesco, dovessi pagare un ducato d'oro al mese. Andai quindi dal Pamaqueli e mangiavo con lui e la sua buona vecchia moglie che mi colmava di gentilezze.
Un giorno, essendo nella bottega del mercante di cui ho detto e parlando di cose indifferenti, senza nessun proemio, mi chiese:
- Non siete voi forse il fratello dell'abate Pignata?
La domanda mi sorprese e mi diede ombra. Gli risposi senza scompormi, che mi chiamavo Baldassarre Plesio e che non sapevo di chi mi parlasse.
- Ho conosciuto l'abate a Vienna - disse il mercante - e voi gli somigliate assai nella faccia e nella voce.
Cambiai subito discorso, ma rimasi turbato della domanda; il che m'impedì di farmi conoscere dal vescovo sia colla musica o con altro, come avevo progettato; ed ebbi tanta paura d'esser riconosciuto che non osavo di uscir di casa e di passeggiare.
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