Le accuse di turpitudini sono di quelle onde il volgo, e spesso chi non è volgo, aggrava i vinti:
La colpa seguirà la parte offensaIn grido, come suol.
La denunzia venne da Milano, da un tal Francesco Picchitelli detto Checco, falegname, il quale prima di essere appiccato per assassinio, accusò, scrive il Pignata, nove o dieci che si erano trovati a quelle conversazioni: i nomi che si sanno sono quelli del Gabrielli, dell'Oliva, del nostro Pignata, che taluni dicono segretario dell'Accademia, di un Alfonsi, un Capra e un dottor Mazzutti. Il Gabrielli, messo dentro come ricettatore e protettore della setta, fu esente dalla tortura per intercessione del cardinale Altieri, ma accusò al tribunale, come capo e inventore d'ogni cosa, l'Oliva. Corsero subito gli sbirri a cercarlo in Marino: ma egli rifugiavasi in Roma presso il conestabile, il quale, interrogatolo se si sentisse colpevole, e avuta risposta che no, lo indusse a costituirsi prigione. Aderì l'Oliva al consiglio, e in una carrozza di casa Colonna andò al Santo Offizio; ma tornando dal secondo esame, vista una finestra aperta, vi corse, e da quella precipitandosi, poco dopo morì.
Del Gabrielli, ecco che cosa avvenne, secondo le notizie che ci porge un Diario del tempo, posseduto dal defunto amico, il commendatore Alessandro Ademollo, e da lui cortesemente comunicatoci.
15 febbraio 1692. Mons. Gabrielli fece, mercordì, l'abiura privatamente nella Congregatione del Santo Offitio, nella quale non vollero intervenire i cardinali parenti, ma solamente Laurico Aghiera, et ha avuto la relegatione nel castello di Perugia, per sicurezza della quale resta il protonotariato e il chiericato di camera.
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