Il compilatore del catologo della Capponiana-Vaticana ci assicura che è opera dell'Alfonsi. I due amici, dopo molte supplicazioni, riuscirono ad esser posti in una stessa cella. Allora veramente parve al Pignata che il suo non fosse del tutto un sogno, ma potesse divenire realtà: tanto più che, dovendo essere riparato quel lato dell'edifizio ove essi erano rinchiusi e che minacciava rovina, i carcerati furono posti in altra parte, dove godevano più aria e più luce. Ivi, con vantaggio della salute e ricreamento dello spirito, dimorarono circa sei mesi, quasi giornalmente uscendo a far un poco di passeggiata, intrattenendosi, coll'occasione dell'andare o tornare dalla messa, con altri ospiti del Sant'Uffizio. In talune di queste uscite dal suo carcere, il Pignata si trovò a confabulare col Molinos, col quale corrispose anche per lettera, e a cui procurò carta per scrivere, e un po' di filo per rappezzare le calze logore. Il povero vecchio, riconoscente del servizio resogli, gli scriveva: «Voi avete voluto consolarmi dandomi ciò ch'io v'aveva chiesto, ed io vi darò un'altra consolazione; ed è che fra poco sarete fuori di qua». Anche un prete francese, di nome don Francesco Paget, osservando le linee della fronte del Pignata, gli profetava la libertà.
La libertà era appunto il pensiero costante, assiduo, fisso del nostro prigioniero. Si pose a copiare un gran quadro del Vasari da una incisione, destinandolo in voto ad una chiesa, colla ferma persuasione che quando l'avesse finito, si troverebbe anche al termine dei suoi tormenti.
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