Siami lecito un qualche debole tentativo in una disamina sė rilevante.
Quando io rifletto a tanto studio, a tante cautele usate dai geometri per assegnare dietro l'ispezione dei fenomeni le fisiche leggi: quando osservo quell'impegno di ridurre al minor numero possibile i principii presi fuori dell'analisi, talchč non perdonando a fatiche, ed a calcoli, credono a ragione di aver conseguito un trionfo per avere in una sola equazione scritti tutti i movimenti, e tutti gli equilibrii; penso fra me stesso, che almeno di simile difficoltā, e degna di egual impegno dovrebbe essere la ricerca di quei principii, sui quali, se fosse possibile, scrivere in analisi le questioni morali: poi mi pongo a meditare sui libri, che di queste ultime trattano, e non trovando modo di accontentare l'intelletto, mi fugge un'esclamazione. Ed č pur vero, che siano gli stessi autori, che scrissero que' primi libri, e questi secondi! Colā tanta profonditā di ricerche, e qui tanta leggierezza: colā un'ammirabile armonia fra di loro, qui una pugna di opinioni, per cui la stessa questione viene scritta da diversi con formole diversissime: colā una costante corrispondenza de' risultamenti coi fatti, che si osservano in natura, qui spesse volte un'uscita di conseguenze ripugnanti evidentemente al buon senso. Di questa leggierezza nelle indagini, di questa pugna nelle opinioni, di questa frequente assurditā nelle conseguenze, io te scelgo, o Uranio, per giudice, anzi ogni filosofo di buona fede. Guarda, per esempio, in qual modo nel cap.
| |
Uranio
|