Quando il mio spirito prende questo volo su tutto il creato, sento in lui una voce, della cui veracità non ho dubbio, la quale parmi che dica: io vi trapasso, o inferiori sostanze: conosco, che il mio essere è di molto sul vostro più elevato: m'accorgo di quel lume del divino volto, che sopra di me è stato impresso. Quanto è mai soave una tal voce! come è possibile, che non la senta, chiunque si avvezza alle astrazioni matematiche? E in vero tre di queste astrazioni, o generalizzazioni, e le più ardite si fanno dall'analista una sull'altra per giungere nei recessi della sua scienza. La prima, quando si forma l'idea del numero astratto, che riesce sempre identico con se stesso, qualunque sia stata la quantità concreta, da cui fu tolto per mezzo della misura: la seconda, quando si crea quella quantità letterale, che può rappresentare qualunque numero: la terza, quando sopra un'indefinita moltitudine di formole composte ad une, o più variabili, si forma l'idea della funzione indeterminata. Chi professa le matematiche, ha tutto dì famigliari queste prodigiose operazioni affatto dissimili da tutte quelle, che si vedono nell'universo: egli dunque esser dovrebbe il nemico implacabile de' materialisti, il primo a predicar l'eccellenza, e l'altezza delle nature spirituali.
Ma la dignità dello spirito umano rilevasi anche di più per quella forza stupenda, ch'esso trae dalle matematiche scienze. Trattar l'incognito egualmente, come il noto: formar dei criteri per discoprir l'impossibile: ragionar del fatto così bene, come di ciò, che esiste soltanto in potenza: fra innumerabili possibili assegnar l'ottimo: spingersi senza pericolo eziandio nell'infinito: queste sono meraviglie, quanto vere, altrettanto difficili a persuadersi a chi è straniero all'analisi sublime.
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