Il metodo da me seguito nella trascrizione di tutti questi testi ha bisogno di qualche schiarimento che io non devo tralasciare.
V'ha una scuola di filologi che cercando rendere tal quale il suono delle parole vorrebbe con segni grafici rendere ogni suono dialettale e, più ancora, vernacolo. Non son certamente io colui che proverà il difetto di questo metodo, che pure ha il suo lato buono; ma, poichè ho provato anch'io le difficoltà di questa pratica e le funeste conseguenze alle quali può essa condurre, non me ne starò dal dire che appunto perchè tale io non la ho saputo seguire. È noto a chi abbia un po' di pratica di queste discipline, che grandi, molteplici, svariati sono i suoni, e che qualunque segno grafico ordinario riesce sempre inefficace a renderli. I dittonghi, i jati, le attenuazioni, i rafforzamenti, le aspirazioni, le atonie son tali e tante che mal si può presumere di ritrarre secondo la pronunzia popolare la parola. Che se tanto potesse supporsi, chi comprenderebbe più una scrittura piena di parole sformate, smozzicate, guaste a quel modo? D'onde, come conseguenza necessaria, una fonte inesauribile di errori per ragione delle etimologie che verrebbero a fondarsi su basi malferme e poco precise. — D'altro lato, bisogna guardarsi della scuola contraria, propugnatrice del metodo grammaticale, che vuol rendere la parola qual'è ne' libri o quale dovrebb'essere virtualmente come modificata dalla voce originaria greca, latina ecc. Da questa teoria non s'avrà nulla di buono, e la scienza non si avanzerà d'un passo verso la filologia, la quale ha diritto di conoscere tutte le differenze che corrono tra il dialetto scritto e il dialetto parlato, tra un vernacolo e l'altro.
| |
|