Quindi la incertezza, la perplessità, la frequente labilità di certe forme che non può non riflettersi nel trascrittore. Il signor Alfonso Accurso, che anni fa mi raccolse un bel numero di canti popolari di Resuttano, favorendomi nel 1873 le due tradizioni orali resuttanesi che vedono la luce nella presente raccolta, mi scrivea: «Quanto alla parlata di Resuttano io non so comprendere dov'Ella trovi differenza tra' canti e i conti. Se accenna alla ortografia, non mi scuserò di nulla, perchè non scrivendo io così spesso il siciliano, nè essendoci una forma comune stabilita, ben può essere che io, in ortografia, non mi trovi molte volte di accordo con me stesso». Ciò non toglie però che dovendo scegliere tra la grafia delle novelle, si dia la preferenza a questa, che a me sembra più vicina alla pronunzia resuttanese.
Del resto tra il canto ed il racconto una differenza naturalissima c'è: il canto s'impara, e quale s'impara si ritiene, nella parola. Il racconto s'impara bene, ma non nella parola, e quindi nella espressione manifesta non che lo stile la particolare pronunzia del contatore.
D'altro lato il sig. Di Martino, avvertito della stessa differenza di trascrizione nelle tradizioni in poesia e in quelle in prosa da lui mandatemi, mi significava per lettera due inesattezze nelle quali era caduto nella prima raccolta: la doppia nn per la doppia dd nelle voci capiddu, beddu, iddu, e la sillaba gna per ghia o gghia nelle voci figghia, simigghia, arripigghia17.
Le libertà che io mi son prese (se pure possono dirsi tali), si riducono alla conservazione di una tal lettera là dove parrebbe dover essere sostituita da altra consimile, e alla restituzione di qualche altra in quelle parole in cui, avendo luogo una aferesi, la voce potrebbe anche confondersi con altra voce di differente significato.
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