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      Fatto mirabile codesto nella storia dell'Umanità, che mentre popoli e nazioni intere sono quasi del tutto scomparse, e nuove nazioni e nuovi popoli son cresciuti alla civiltà, e le fredde ali del tempo hanno perduta persino la memoria delle geste più clamorose, queste novelline infantili vivono a testimoniare un'antichità fuor d'ogni calcolo remota87.
      Varie ipotesi sono state emesse per ispiegare il modo col quale tante tradizioni son venute fino a noi. Credono alcuni ch'esse abbiano germe comune nelle tribù ariane pria della loro emigrazione; altri invece le riguardano come fantasie orientali originariamente introdotte in Europa da pellegrini, da emissari, da crociati, ovvero dagli Arabi che governarono la Spagna e dai Tartari che ebbero lungo dominio sulla Russia88. Accennando alla prima di queste ipotesi M. Beauvois chiede se per trovare la vera origine dei conti sia opportuno rimontare all'epoca in cui i nostri padri formarono una sola famiglia89. Io non so, risponde un egregio raccoglitore di novelle spagnuole90; ma tant'è che la lunghezza del tempo che corre da allora ad oggi, la tradizione rivelata, la universalità di certi racconti: tutto sembra aver creato un'origine comune dei racconti. Quando poi i popoli si divisero, ciascuno prese parte delle tradizioni esistenti, e queste portate a differenti climi presero forme diverse fino a crearne di nuove per venire a dar fonte alla Grecia, emporio della civiltà antica.
      Per accostarsi alla maggiore probabilità bisogna ammettere tutte e due le ipotesi, o meglio, accettare le opinioni degli uni e degli altri, secondo le quali da una parte i germi onde son nate queste favole o novelle, che dire si vogliano, apparterrebbero al periodo che precesse la emigrazione degli Arii91, e dall'altra parte molte di esse sarebbero state introdotte e diffuse in Europa coi libri indiani che le contengono e colla tradizione orale, anello intermedio tra i libri stessi e tra i libri e la tradizione orientale.


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Fiabe novelle e racconti popolari siciliani
Volume Primo
di Giuseppe Pitrè
pagine 500

   





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