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      Per capriccio tengono anni ed anni una ragazza capra, pesce, un riuzzo serpente, dragone, majale, mostro ecc.
      Ma per quanto potenti e privilegiate, non manca anche per le fate il lato debole. Simili all'eroe invulnerabile del mito, vulnerabile solo nel tallone, esse perdono della loro virtù se per avventura smarriscano il nastro a colore o il velo di sulla testa. Il giovane che, disperato di non riuscire in un suo intento, va al fiume ove le fate deposti i loro abiti, i veli, i nastri sulla spiaggia, si bagnano, accusa questa lor debolezza, che le rende simili a ogni altro mortale. Allora egli mette in opera la violenza, e si conferma ancora una volta che dove colle fate le preghiere non approdino, le minacce e le paure produrranno buon effetto.
      Le fate sono vergini caste; quando per raro caso diventano mogli, la lor fedeltà è a tutta prova, ma la virtù soprannaturale si dilegua, ed esse non han più diritto alla immortalità. Qualunque cosa le fate tocchino, rimane fatata, semprechè sia nelle loro intenzioni la fatagione. La fatagione è dono gratuitamente dato, ma sarà fonte di gravi sventure se durante questo atto accada cosa sinistra alle fate; non v'ha sventure che non possa incogliere il malcapitato. Graziosi, peraltro, i doni loro infatando esse una ragazza. «Io ti fato, dice la prima, e ti dò la virtù di diventare la più bella ragazza del mondo.» «Ed io, dice la seconda, ti dò la virtù di essere la più ricca che ci sia.» «Ed io, soggiunge la terza, ti fo questo dono: che quando ti pettini, ti cada da un lato oro e perle, e dall'altro frumento ed orzo» (simbolo di abbondanza). Nè pare ci sia a desiderare di più. La ragazza così fatata può esser certa della sua buona ventura anche in mezzo alle maggiori traversie.


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Fiabe novelle e racconti popolari siciliani
Volume Primo
di Giuseppe Pitrè
pagine 500