(477) Raccolta dal prof. Letterio Lizio-Bruno.
(478) Questa fiaba č di Palazzo-Adriano, una delle colonie albanesi di Sicilia. Si sa che queste colonie sono bilingui, e parlano l'albanese tra loro e il siciliano coi Siciliani. Chi me la raccolse non sapea scrivere l'albanese, e perō se la fece dettare nella parlata siciliana di quel comune, la quale differisce assai poco dal dialetto di tutta l'Isola. Qualche parola ed anche l'intiera narrazione mostrano un po' di prevenzione nel novellatore.
(479) Putėghi, botteghe.
(480) Ti dō una candela di cera delle tenebre (della Settimana santa).
(481) Fegu o feu, feudo.
(482) Le persone avean paura d'andare nel bosco e far tornare le vacche.
(483) Dalla paura si riempė i calzoni, si evacuō di sotto.
(484) Hisca per cisca, secchio, molira.
(485) E noialtri, minchioni com'eravamo.
(486) Raccolta dal sig. Antonio Rasti greco di Palazzo-Adriano.
(487) Uomo (qui giovane) di cattiva condotta, sbarazzino.
(488) Beppe andō ad allogarsi presso uno come mozzo di stalla, per cosė strigliargli gli animali.
(489) Ma prima si fe' dare dal gastaldo un pezzo di cacio fresco non salato (tuma).
(490) Nuda come il palmo della mano.
(491) Nun ti nni vō' ijri ecc Ah! non vuoi andar via di lā! chč se io vengo ti fo pių buchi che non abbia un crivello. (Cirnėgghiu, non molto comune in Palermo.
(492) Addumau, accese, cioč s'inalberō.
(493) La sdivaca, ecc. La riversa sopra una madia, e si mettono (tutti e due) a mangiare a crepapelle.
(494) Il Drago sempre riempiva e mettea innanzi nuove tavole di pasta.
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