Dopo due ore di viaggio entrava in Magenta.
La vettura si fermò ad un albergo, e l'ufficiale, tratta una lettera e consegnatala al cocchiere, gli disse in tuono pressochè solenne:
- Io deggio partire per alcuni affari. Qualora però entro due ore non fossi di ritorno, tu riederai prontamente a Milano e porterai questo foglio al suo indirizzo. Hai capito? fra due ore.
La lettera era diretta all'ufficiale francese suo amico.
Subito dopo il giovine polacco mosse verso il castello Sampieri.
Sebbene fosse di buonissima ora, pura nell'interno del castello tutti erano ritornati ai loro uffici consueti; i servi, sommessi schiavi, ad ubbidire; il conte, dispotico padrone, a comandare.
Il polacco passò il ponte levatoio, e si diresse a Tonio, che in quel giorno gli spettavano le funzioni di guardiano.
Tonio non potè trattenere un moto di stupore alla domanda dell'ufficiale d'un colloquio col conte; lo fece entrare in un salotto terreno e pregollo ad attendere finchè l'avesse annunziato.
Il giovane polacco rimase solo pochi minuti; il cuore gli batteva con violenza, non già per debolezza, ma per la brama impaziente di agire.
Tonio ritornò; un sogghigno malizioso gli errava sulle labbra; inchinossi forse con un po' d'ironia all'ufficiale, ed invitollo a seguirlo.
Attraversando un labirinto d'appartamenti, lo condusse in una magnifica sala d'arme, ove il conte Sampieri stava intento ad esaminare e provare le mille armature diverse che pendevano dalle pareti.
- Le domando perdono, disse il conte all'ufficiale con affettata noncuranza, se non lo ricevo in un luogo più degno dell'alta devozione ch'io professo sempre ai miei ospiti.
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