- Vi prego....
- Mentite, ho detto, ed io non partirò di qui se prima non ho saputo da voi la verità.
- Ebbene, sì, vi dirò tutto, mormorò Flavio dopo un istante d'incertezza, è un segreto che a nessuno avrei confidato, ma che a voi, cosa volete, non posso tacere. Io non vi conosco, non mi ricordo d'avervi veduto mai, eppure è strano, con voi bisogna che parli come davanti a mio padre istesso.
Ed il giovinotto interrogava il volto alterato del vecchio, ricercando invano nella sua memoria.
- Or bene? esclamò Gervaso bruscamente.
- Ascoltate. Io non sono come v'ho detto maestro di disegno, ma bensì appartengo ad una delle primarie famiglie di Milano per nobiltà e censo.
Pareva che queste parole facessero un'impressione penosissima su Gervaso, ma il giovane non s'accorse e continuò:
- Un giorno, era una domenica di primavera, uscii a cavallo, desioso di godere il bel spettacolo della natura risorta, e spingendomi fuori della città galoppai infino a Monza. Fu allora ch'io vidi per la prima volta Erminia; si recava al tempio con tutte le sue compagne di collegio. Quella bellezza d'angelo, quell'espressione di santa innocenza che come aureola celeste traspare da tutto il suo corpo, mi toccarono soavemente. Mio malgrado la seguii ed entrai con essa in chiesa. Leggeva in ginocchio un libriccino di preghiere seguendo divota la celebrazione della Messa. Il riconcentramento, la maestà del luogo, la santità del mistero me la fecero apparire più che umana, divina. Il fumo dell'incenso, le melodie dell'organo, i canti religiosi che accompagnavano la sacra cerimonia, innalzavano, è vero, il mio spirito al cielo, ma il cuore s'affezionava, si univa indissolubilmente alla vergine genuflessa.
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