- Ma sicuro che è così, oh non fallo io! Se tu, dico... pensi già al modo di vivere meco allorquando ti avrò solennemente impalmata è segno chiaroveggente che non hai nessuna difficoltà a darmi la tua annuenza, non è vero? Ma allora noi possiamo dire che tutto è concretato e sancito!
- No, non è così.... gli è che.... balbettava Marta arrossendo suo malgrado.
- Bene, bene, fanciulla mia, io non voglio sorprenderti, pensa pure con calma e vedrai che il vantaggio della nostra unione è tutto tuo, che tu non puoi pretendere di più.
La servetta fece un dispettuccio che sfuggì agli occhi del maggiordomo, e che si poteva tradurre così:
- Ih, quanta superbia! diventa mio marito, e te la farò dar giù io.
In questo punto si udì una lunga scampanellata che fece trasalire i nostri personaggi.
- È il signor conte che mi chiama, esclamò Marta.
- Accorri, accorri subito, disse il maggiordomo spaventato.
- E chi resterà a far la guardia alla porta?
- Ci resterò io.
- Lei?
- Sì, io, ma fa presto, che il signor conte non sappia che noi eravamo in discorsi confidenziali.
- Non dirò niente.
- Brava Martina.
- In quanto poi alla risposta....
- Sì, sì, hai tempo.
- No, gliela darò domani.
- Come vuoi.
E Marta, lanciata un'occhiatina amorosa al fidanzato, che lo fece andar in visibilio, ratta ascese lo scalone che doveva condurla negli appartamenti del conte.
Nicodemo, riavutosi dal turbamento che gli aveva cacciato addosso la improvvisa chiamata del padrone, s'accorse ch'era solo nello stanzino dei portinai.
Aggrottò le sopracciglia e riflettè:
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Marta Marta Martina Marta
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