Fintantochè Napoleone con uno di quei tratti di giustizia che improntano la sua luminosa carriera ci richiamò in Italia restituendoci gli aviti beni.
- Qual dubbio mio Dio, qual dubbio! mormorò Gervaso.
- Dell'infelice mio zio non avemmo più notizie, proseguì Flavio. S'egli sapesse che i tribunali sono autorizzati a ritornare sul suo passato, forse provocherebbe un processo, che io non posso crederlo colpevole.
- E non lo sarà, ma come provarla la sua innocenza! esclamava Gervaso con un grido d'angoscia, ma continuò tosto colla primitiva calma:
- E vostro padre non annuirà mai, voi dite, al vostro matrimonio?
- Lo temo, rispose il giovane abbattuto.
- Gli parlerò io.
- Voi?
- Sì.
- E sperate?
- Più di quello che credete.
- Davvero? Oh, la benedizione del cielo sul vostro capo!
- Domani sarò da lui.
- Ci sarò io pure, noi lo pregheremo insieme...
- No, bisogna che le parli da solo, mi è necessario un abboccamento segreto.
Gli occhi del giovine si fissarono in papà Gervaso; il mistero di quest'uomo lo stupiva, ma la di lui sicurezza gli richiamò sulle labbra un sorriso di speranza.
Gervaso continuò:
- Ed ora giovinetto potete rimontare il vostro cavallo e ricondurvi a casa.
- Partire! e senza vederla?
- Non è necessario.
- Eppure...
- Non è necessario vi ripeto. Il vecchio pronunciò queste parole in tuono così risoluto da mostrare come sarebbe stata inutile ogni ulteriore insistenza.
Flavio si alzò; strinse cordialmente la mano che Gervaso gli stendeva e disse:
- Parto, ma ricordatevi che le mie speranze sono tutte riposte in voi.
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