Il servo parte e non va molto che comparendo tutto rispettoso guida Gervaso nel gabinetto del conte.
- Ah, non mi sono ingannato; mormora il vecchio.
Il conte Renato Sampieri era un uomo in sui cinquant'anni grande e bello nella persona.
Stava seduto al tavolino cogli occhi fissi sul biglietto consegnatoli dal servo; vi si leggeva in volto un turbamento mal dissimulalo ed una grande sorpresa.
Gettò su Gervaso uno sguardo penetrante, indagatore, indi con affettata freddezza esclamò:
- Voi mi renderete ragione del nome ridicolo che mi avete dato; - e gli mostrava il biglietto.
- Quel nome mi valse però l'abboccamento ch'io chiesi invano al conte Renato Sampieri.
- Ho voluto veder in faccia chi s'introduceva in tal modo in casa mia.
- Eccovi adunque soddisfatto. E Gervaso si piantò diritto davanti al conte, calmo, freddo, imponente.
- Infine cosa volete da me? proruppe il conte alquanto sconcertato.
- Farvi una sola domanda.
- Sentiamo.
- È veramente al conte Renato Sampieri ch'io parlo in questo istante?
- Disgraziato! sclamò il conte arrossendo d'ira e girando attorno gli occhi quasi per accertarsi che nessuno aveva udito quella inchiesta.
- Rispondete! insistè Gervaso senza scomporsi.
- Voi siete qui nelle mie mani, badate! le vostre parole vi possono costare la vita.
Ed una truce espressione di sdegno si posò per un istante sui lineamenti del conte.
- Sono minaccie codeste che vi tradiscono, rispose Gervaso; se voi foste veramente quello che vi fate credere dopo il biglietto che vi ho scritto, dopo quello che vi dissi, in luogo d'adontarvi, m'aveste riso in faccia e trattato da povero pazzo.
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