Il conte sembra riconoscerlo e la sua bocca si atteggia ad un pallido sorriso.
- Troppo tardi! prorompe il giovine colle lagrime agli occhi; oh, è orribile!
Lo sguardo di Flavio si ferma su Gervaso; le lagrime in allora gli si inaridiscono sulle ciglia, un'espressione di dolorosa sorpresa gli si diffonde sul volto.
Tende il dito verso Gervaso ed esclama con voce straziante:
- Voi! Voi che assassinaste mio padre! Ed io vi amava! Oh, ma se anche il cuore c'inganna di chi mai fidarsi a questo mondo?
Il vecchio rimane muto, immobile, il corpo curvo sotto il peso d'una potente commozione.
Il conte fa uno sforzo ed aiutato da Flavio si sorregge un'istante sul corpo; fissa nel giovine uno sguardo affettuoso e con voce semispenta così gli parla:
- Perdona a quell'uomo Flavio... egli ha ucciso un miserabile che tu non puoi chiamare tuo padre... no tu non lo puoi.
- Delira! mormora Flavio.
- Io ti favello nel mio miglior senno, prosegue il moribondo, ed è sulla soglia dell'eternità che ti supplico d'ascoltarmi. Tuo padre, il vero conte Renato Sampieri morì in esilio colla madre tua. Arso dalla sete dell'ambizione e d'un'avida brama di ricchezze, io m'impossessai delle carte di famiglia e mi feci credere pel conte defunto... tu eri troppo bambino per avvederti dell'inganno... Quell'uomo è tuo zio, Alberto Sampieri; colui che nel 1778 pel disgraziato duello avuto in Magenta con un ufficiale tedesco fu causa forse innocente delle sciagure de' tuoi parenti. Perdona a lui che deve avere molto sofferto.
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