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      Ho riferito tutto questo soltanto per fare intendere che, a parer mio, una delle cagioni, e forse la principale, della rovina di alcune società civili, è la facilità con la quale certi popoli spezzano i vincoli del passato. Ho riferito questo per accennare come sia impossibile a un vasto impero di mantenersi in vita, per lungo volgere di secoli, senza che tutti i sudditi siano legati insieme dall’affetto comune d’una medesima tradizione o storica o religiosa. E ora da quanto ho detto sarà facile argomentare che le ragioni della durata dell’impero cinese si debbono singolarmente cercare nell’unità della sua tradizione; della quale i secoli hanno [15] piuttosto accresciuta che diminuita l’autorità, e per la quale ogni ordine di cittadini dal sovrano all’ultimo della plebe, ha il medesimo rispetto. Di mezzo alle lotte e al disordine politico della Cina, di cui abbiamo più sopra brevemente parlato, una cosa uscì sempre salva ed incorrotta, la tradizione. Il passato non fu mai tenuto come un ostacolo allo svolgimento del progresso: fu la guida che ricondusse sul retto cammino la nazione, ogni volta che gli eventi ne l’allontanarono.
      Ed è pur forza convenire che la tradizione cinese è sfuggita alla sorte comune a quella di popoli di schiatte diverse, non per una caparbia e irragionevole avversione a qualsiasi mutamento, proprio al popolo cinese; ma sopra tutto a cagione dell’indole e della natura della tradizione medesima. Di quest’indole e di questa natura non posso parlare qui distesamente.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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