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      Questo nome, che si trovava nelle antiche scritture cinesi le quali formano i libri sacri di quella nazione, è Tih (barbari), [70] o Pe-tih (barbari del settentrione). Pertanto, in uno di tali testi, nel Ch’un-tsieu, essi sono distinti in "Tih rossi" e "Tih bianchi": espressioni che alcuni suppongono si riferiscano al colore delle vesti che indossavano, ma che, a parer mio, si possono intendere bene altrimenti, se si dà loro, come si conviene, un valore antropologico.
      Infatti, il Li-ki, altro dei libri sacri, afferma che quelle genti vestivano pelli di animali rozze e non conce, la qual cosa non conforta l’interpretazione riferita di sopra; mentre gli aggettivi "rosso" e "giallo", riferiti al colore dei capelli di quelle medesime genti, si trova in altri documenti cinesi. Questi barbari del settentrione vennero dunque, varj secoli innanzi l’era nostra, assai probabilmente divisi in due schiatte, distinte ciascuna dal colore diverso dei capelli e della faccia. Perocchè l’epiteto di "rossi", dato agli uni, voleva distinguere non solo il colore della capigliatura, ma altresì quello del viso, di frequente chiazzato di rosso negli individui di tal fatta, come si vede tra i Finni, in confronto del colore pallido giallastro degli altri, che avevano capigliatura nera, e che erano chiamati "Tih bianchi". È anche da notare, che il volto degli Europei, in ispecie dei biondi e degli anglosassoni, apparisce agli occhi dei Cinesi piuttosto rosso che bianco, tanto che gli Europei sono colaggiù chiamati talvolta "Teste rosse". Comunque sia, una tal distinzione di razza, desunta dal colore dei capelli [71] e della faccia noi la ritroviamo pure, rispetto ai nomadi settentrionali, in altri più recenti libri cinesi, che trattano argomenti geografici o storici, come ho poco sopra ricordato.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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