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      Questo, dice Mencio al luogo citato di sopra, è in generale il sistema da seguire; il principe savio e l’abile ministro, possono, nell’attuarlo, portarvi quelle modificazioni richieste nei singoli casi, salvo però a mantenere i criteri che lo informano(42); dare cioè a’ coloni la terra necessaria al campamento, darne loro per le loro case, e darne anche quanto basta per pagare le tasse, di cui abbisogna il governo.
      Veniamo ora a parlare della trasformazione a cui soggiacque questo primo modo di proprietà rurale, per opera dei sovrani della dinastia Ts’in, tre secoli avanti l’era nostra, e di quel che ne scrissero gli economisti cinesi. - "I campi componenti i comuni agrarii (tsing-t’ien) ricevendosi dallo Stato, ed essendo perciò cosa pubblica, non potevano alienarsi; e ciò trovasi affermato anche dal Li-ki. Fu sotto il dominio degli Ts’in (255-209 a. C.) che, abolito il vecchio assettamento delle campagne, venne data concessione di vendere e di comprar le terre; sì chè incominciarono i vasti possedimenti. Questo fatto è pure confermato nella storia della prima schiatta [94] sovrana degli Han, che successe a quella degli Ts’in"(43). Gli antichi, dunque, dicevano: la terra è dello Stato, nessuno può averne il possesso privato; ognuno però ha diritto alla proprietà del frutto di essa, purchè la lavori. Secondo questo principio le terre venivano distribuite a quote eguali, inalienabili; soltanto l’usufrutto del campo era proprietà del colono, e soltanto dell’usufrutto il colono aveva diritto di trasmettere la proprietà a’ suoi discendenti.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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