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      Distrutto da Ts’in Shi-hwang-ti (221 a. C.), e non ristabilito a tempo dai primi Han (206 a. C.), è ormai perduto per sempre. Nondimeno, se è impossibile ripristinare le antiche comunità agrarie, volendo oggidì ottenere alcuni dei vantaggi che esse arrecavano, bisogna per migliorare le condizioni del popolo, cercare di avvicinarci in qualche modo a quella maniera di proprietà rurale".
      Udiamo quel che pensa, a questo proposito, e quel che ne scrisse Tung Chung-shu (II, a. C). - "Sebbene, egli dice, sia arduo, per riparare l’odierno disagio economico, riporre in atto l’assettamento delle terre per comuni agrari, è possibile pertanto accostarsi un poco agli antichi principi, ponendo un limite alla proprietà privata. Ogni ragionamento su questa materia è vano, se non si parte da questo punto fondamentale; e non si recherà mai vantaggio nessuno alle generazioni avvenire, se non si metterà in pratica quest’idea. Ma siccome è da supporre che [103] la gente non voglia di per sè spogliarsi de’ suoi averi, per amore del mio sistema, io lo metto innanzi, non come un repentino cambiamento di cose, ma come una riforma, che il tempo stesso dovrebbe operare. Già da altri venne proposto che la proprietà privata del popolo e dei pubblici ufficiali dovesse ridursi ad un massimo di trenta campi (ts’ien), nel termine di tre anni; e che le terre de’ contravventori avessero a cadere in potere dello Stato. Nondimeno la terra coltivabile di trenta campi era, al tempo dei Cheu, la terra coltivabile di trenta coloni; e quantunque non si possa presumere di seguire appuntino il sistema rurale di que’ sovrani, pure concedere ad un solo uomo il possedimento di trenta coloni, è stabilire una quota massima troppo grande.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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