Inoltre, fissare un termine di tre anni, al compimento della riduzione della proprietà privata, è volere troppo affrettare l’ordinamento economico della nazione. Di più, costringer a disfare da sè stessi la propria fortuna, è cosa troppo contraria alla natura umana, per poter riuscire nell’intento. Io desidero un limite della proprietà più basso; ma non voglio però togliere a forza la terra, a coloro che già avessero, co’ loro possedimenti, oltrepassato il limite che io mi propongo. Si dovrebbe soltanto aver cura, che in avvenire niuno avesse più ad accrescere l’estensione della sua proprietà prediale, oltre quel limite stabilito. Procedendo a questo modo, dopo più [104] generazioni, le famiglie dei ricchi, cresciuta la progenie in gran numero, e rimaste quel di prima le terre, da cui traevano i beni, non solo mancherebbero di mezzi per mantenersi prospere, ma cadrebbero in miseria; e le terre, o passerebbero, disperse, ad altri che sapessero coltivarle, o i discendenti se le dividerebbero tra loro, costretti a lavorarle da sè stessi per vivere. Per la qual cosa i vasti possedimenti, tenuti dai ricchi (e coltivati da molti coloni a mezzeria), a mano a mano scemerebbero; e si accrescerebbero invece le terre libere per gli agricoltori. I poveri tornando a poco a poco a riavere i loro campi, non formerebbero più una classe di servi. Ciascuno godrebbe il frutto intero del proprio lavoro, non diviso con altri; e pagherebbe di buona voglia le tasse all’erario pubblico. Chi sta sul trono pubblichi un bando, con tali intendimenti; e senza violenze, senza commuovere le turbe, senza repentini mutamenti, si avrebbero i vantaggi che recarono gli antichi comuni agrari, senza bisogno di ristabilirli precisamente quali erano"(48).
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