Or dunque questo necessario per vivere, questi beni, che sono, secondo il nostro autore, il sangue del corpo sociale, gli uomini non li hanno ad aspettare come manna dal Cielo, nè come elemosina dai governanti; ma hanno da provvederseli essi stessi col lavoro, pel quale lo Stato ha solo il dovere di procacciare il modo e i mezzi.
Quando in altro luogo avremo occasione di parlare singolarmente del lavoro, vedremo in quale alto concetto esso fosse tenuto nella Cina; e come, in antico, l’ozio fosse giudicato il nemico peggiore del consorzio civile; tanto che gravi ammende e adeguate punizioni venivano inflitte a coloro che, essendo validi, non lavoravano le terre compartite loro dallo Stato, o non davansi ad altre faccende od uffici profittevoli alla società; imperocchè, dice il nostro testo, "eccessiva moltitudine di consumatori vuol dire disfacimento dello Stato; sperpero dissennato e crescente, depredazione dello Stato. Se tal disfacimento e tale depredazione non si arrestano a tempo, la vita [116] della nazione non tarderà a spegnersi. Quando pochi producono e molti profondono, che cosa c’è altro da aspettarsi se non la rovina"(59).
III.
In Cina il lavoro più stimato, tenuto più proficuo, più giovevole materialmente e moralmente, è il lavoro della terra. La terra è sorgente d’ogni ricchezza; l’agricoltura, la professione per eccellenza; l’agricoltore, la più degna e utile persona dello Stato. Vero è che la divisione del lavoro, richiesta dal progredire delle società, rende necessarie varie forme d’attività umana; le quali tendendo tutte a mantenere la vita sociale, debbono tutte avere la loro relativa importanza.
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