L’accordarsi per lavorare insieme aveva per effetto di risparmiare il [136] consumo del fuoco e del lume; e inoltre, lavorando le abili insieme con le inesperte o le principianti, queste avevano agio d’imparare bene il mestiere; e la vita comune accomunava pure le usanze. Le fanciulle e i giovani non ancora accasati narravano a vicenda, in quelle veglie, con varie canzoni i casi occorsi: esprimendo co’ loro versi, or lieti or tristi, con elogi o biasimi o satire, tutto l’animo loro. Nel primo mese di primavera quando il popolo s’apparecchiava a disperdersi pei campi, un banditore pubblico percorreva le vie suonando una campana; e raccoglieva le canzoni scritte, cantate nella stagione invernale. Queste venivano portate al Gran maestro (ta-se), che le ordinava secondo le melodie, per farle poi conoscere al Sovrano. Di qui il detto: il Sovrano senza spiare per le finestre, nè per le porte, tutto sa del suo regno, tutti gli son noti i bisogni ed i pensieri del suo popolo". La raccolta annuale delle canzoni popolari faceva parte dell’archivio del governo. Per mezzo di quelle canzoni, il re partecipava della vita dei suoi sudditi. Era un plebiscito poetico, che per bocca de’ giovanetti, portava alle orecchie del sovrano i desideri, i bisogni, i lamenti, le gioie, i dolori, tutti insomma i sentimenti del popolo. Questa vita patriarcale, mezza cittadina, mezza campestre; disciplinata come se una cittadinanza fosse una famiglia strettamente soggetta e ubbidiente a’ suoi maggiori, durò per tutto quel tempo, che la tradizione confuciana vuol [137] far passare come il migliore della storia della Cina.
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