Tuttavia anche in quei tempi remoti, il popolo d’allora, con la parola "lavoro" amava intendere il lavoro manuale, la fatica delle braccia e non della testa; e giudicava l’attività dell’intelletto come immeritevole di quel nobile appellativo.
Un singolare passo del libro di Mencio più volte citato, accenna a una tale questione, e procura di chiarirla portando l’argomento della necessaria cooperazione delle varie classi sociali. Ed ecco come il nostro filosofo procede nel suo assunto. "Uno Stato della confederazione cinese di quel tempo era governato da un [164] principe, che godeva gran fama d’umano e di giusto. Questa fama attirava nei dominj di lui, dagli altri Stati, non pochi abitanti delle terre vicine, e tra gli altri un tal filosofo, il quale professava certa sua dottrina, e ripeteva la massima da lui preferita - soltanto colui che lavora ha diritto di mangiare: chi non lavora non mangi. Un ardente seguace di costui si recò un giorno a visitare Mencio, che era ivi giunto, e gli fece il seguente discorso; - Il principe di questo Stato ha dappertutto nome di uomo giusto, ed invero lo è; nondimeno egli non segue affatto i saggi principj proclamati dal mio maestro. Il savio principe deve coltivare il suo campo e nutrirsi col frutto del suo lavoro; deve governare, ma nel tempo stesso apprestarsi da sè il cibo quotidiano; e questo principe invece non lavora ed ha il granaio colmo e la casa piena d’ogni bene. La sua condotta è insulto al popolo.
- Il tuo maestro lavora da sè stesso la sua terra? domanda Mencio.
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