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      La forma semplice ed elementare di quei primitivi concetti animistici rendeva però facile un’interpretazione filosofica di essi, la quale, senza sopprimerli, li trasformasse, facendoli entrare nel campo della ragione umana. Gli spiriti dell’animismo cinese non avevano una propria e precisa personalità, e non avevano nemmeno nomi individuali che li distinguessero: tutti avevano una natura comune, e tutti indistintamente venivano designati col nome comune di Shen. In tali condizioni la religione e la filosofia potevano intendersi. La parola Shen venne dal Confucianesimo definita: "ciò che in natura non è possibile penetrare ed intendere, l’inconcepibile, l’arcana ragione per la quale le energie naturali operano, trasformano, creano".
      Per tal modo, tornando a quell’energia cosmica, che sta in principio a tutto, e che opera in virtù di due forze tra loro in contrasto, Yin e Yang, si trovò il mezzo di comprendere tutti questi spiriti nell’una [168] forma o nell’altra di questa duplice energia creatrice. Gli spiriti della religione popolare furono riguardati dal Confucianesimo come tanti atti particolari di questa energia universale, e spogliati così del loro carattere soprannaturale. Gli spiriti che presiedevano alla produzione, al moto, alla vita, si dissero appartenere al principio Yang, o furono tenuti come manifestazioni dell’etere (Khi) nel suo stato positivo; gli spiriti che presiedevano alla quiete, alla distruzione, alla morte, furono riferiti alle manifestazioni del principio Yin, ovvero dell’etere (Khi) nel suo stato negativo.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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