Questo è il concetto che trovasi espresso in uno dei più importanti libri sacri del Confucianesimo, il Li-ki.
VIII.
Non si deve credere che nei tempi in cui si svolse e compose la dottrina confuciana, non vi fossero altre opinioni riguardo alla morale e alla politica, che le contendessero il primato. Fin da principio Lao-tse negò [170] apertamente l’autorità su cui Confucio si appoggiava, per dar valore ai suoi detti: l’autorità della tradizione antica. Lo condannava d’avere amato troppo il passato, e d’aver coltivato un campo, dove non poteva trovare che aride ossa, invece che i germi d’una vita nuova. Poi vennero le controversie sulla natura dell’uomo; non si voleva accettare ch’essa fosse originalmente buona, e che inclinasse al bene; e di tali controversie troviamo pagine non brevi nei classici. Inoltre, nel IV secolo a. C., due importanti dottrine sociali avevano fatto assai proseliti tra il popolo: quella di Me-ti, e quella di Yang-chu. Me-ti, socialista sentimentale, voleva la comunanza dei beni fondata sopra la fratellanza universale: Yang-chu, individualista feroce e anarchico, voleva l’abolizione d’ogni legge e il trionfo dell’egoismo. Mencio stesso in un passo del suo libro ci dà la prova del favore popolare che avevano incontrato quelle due così diverse dottrine. "Se tu porgi ascolto, egli dice, al conversare della gente, ti accorgerai che chi non è per Me-ti è per Yang-chu; e chi non è per quest’ultimo è per l’altro". La qual cosa dice chiaro che il socialismo e l’anarchismo erano allora liberamente predicati e discussi.
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